por ANTONIO MOSCATO
Livio Maitan giovedì ha concluso la sua lunga battaglia controcorrente. L’aveva cominciata durante la resistenza, e poi sempre dentro il movimento operaio, ma in contrapposizione netta con le direzioni burocratiche. Si era legato alla Quarta Internazionale giovanissimo, quasi insieme a Ernest Mandel, con cui collaborò per decenni. La sua attività di direzione lo portò spesso in altri continenti, dalla Bolivia, all’Argentina, all’Indonesia; era stato tra i primi ad analizzare e presentare la rivoluzione algerina e a studiare le contraddizioni del nazionalismo arabo impersonato da Nasser. La ricchezza della sua analisi, l’attenzione alla complessità delle argomentazioni degli stessi avversari, lo avevano fatto apprezzare da uomini diversissimi da lui, che gli furono amici, da Enrico Berlinguer a Paolo Sylos Labini (che pubblicò una postfazione al saggio di Maitan sulle classi sociali, che pure polemizzava con le sue tesi).
Livio Maitan è stato molto importante per diverse generazioni di comunisti, non solo per i suoi libri su Trotskj, su Gramsci, o sulla rivoluzione culturale cinese (documentatissimo ma per questo molto impopolare tra i molti cultori del mito: il solo Aldo Natoli accettò di discuterlo), ma anche e soprattutto per l’esempio. Sapeva ascoltare pazientemente i dibattiti, attentissimo soprattutto agli operai: molti lo ricordano nelle assemblee delle fabbriche e davanti ai cancelli (da Mirafiori alla Fatme di Roma), per capire, mai per giudicare sommariamente o per calare dall’alto soluzioni belle e pronte. E alcuni noti intellettuali che poco dopo il 1968 erano venuti nella sede romana della Quarta Internazionale in via Candia per parlare con lui, e mi chiesero quando arrivava, rimasero sbalorditi nello scoprire che c’era già, ed era quello che in attesa della riunione stava pulendo il cesso del cortiletto.
Seguì con attenzione il dibattito delle altre formazioni della nuova sinistra, dal Manifesto a Lotta Continua, sulla cui crisi finale, che osservò da vicino partecipando al congresso di scioglimento, scrisse pagine molto belle e turbate per la dissoluzione di una forza originale che aveva segnato un intero periodo.
Negli ultimi anni sapeva di non avere più molto tempo a disposizione. Nel 1992 aveva subito un’operazione al cuore, e aveva scelto una valvola di origine animale che gli assicurava libertà di movimento (compresa la possibilità di giocare a pallone, come ha continuato effettivamente a fare fino ai 75 anni) piuttosto che una valvola sintetica, praticamente eterna, ma fragile, che lo avrebbe costretto a una vita tranquilla e sedentaria.
Si era intanto impegnato a fondo nella stesura delle sue memorie, e dopo l’apparizione del primo volume dedicato al movimento operaio italiano era andato a presentarlo in centinaia di città grandi e piccole, sempre per scoprire qualcosa di nuovo dai lettori.
Negli ultimi anni la corsa col tempo si era fatta più drammatica, perché il cuore aveva ricominciato a dare problemi: il secondo e terzo tomo delle memorie, dedicati alla sua lunga esperienza internazionale, richiedevano sforzi aggiuntivi per documentare ogni pagina, e cominciava a temere di non riuscire a finire. Un’altra operazione per continuare non a vivere ma a vegetare non la voleva. Comunque ce l’ha fatta. Tre giorni fa ha chiamato alcuni di noi per darci minuziose istruzioni sulle sue carte e perfino sulla commemorazione: credevamo fossero il frutto di un allarmismo infondato. Invece si era convinto di avere concluso la sua esistenza, e cercava di trasmetterci la sua serenità.
La camera ardente sarà allestita domenica dalle ore 10 alle ore 21 nella sede del Prc, partito di cui Livio Maitan era stato tra i fondatori, in viale del Policlinico. I funerali si svolgeranno lunedì alle 11 e saranno preceduti da una cerimonia in piazzale del Verano.
il manifesto – 18 Settembre 2004
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